Benvenuti. Non esistono quasi limiti di tempo e di spazio nella dimensione dei proverbi, tanto vasta ne è la diffusione nel tempo e nello spazio. Da tempo immemorabile l'uomo fa uso di proverbi, sia nella tradizione orale come in quella scritta. Spesso è assai difficile risalire all'origine di un proverbio e stabilire se esso è transitato dalla tradizione orale alla letteratura o viceversa, se è di origine colta o popolare. Anche la linea di demarcazione tra proverbi, detti, motti, sentenze, aforismi, è assai sottile e forse non è così importante come si crede definire l'origine di un proverbio o di un aforisma quanto piuttosto risalire alle motivazioni che ne hanno determinato sia la nascita che l'uso più o meno frequente.

Della mia passione e delle mie ricerche sull'argomento e non solo su questo, cercherò di scrivere e divagare ringraziando anticipatamente quanti vorranno interagire e offrire spunti per sviluppare il tema col proprio personale e gradito contributo.

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domenica 7 marzo 2010

La politica e la morale

Volentieri pubblico un intervento del Prof. Lorenzo Catania

Quel crisantemo sopra un letamaio. Ferruccio Parri, la politica e la morale.
“Faccian le bestie fiesolane strame/ di lor medesme, e non tocchin la pianta, / s’alcuna surge ancora in lor letame…”.Riecheggiando un po’ questa invettiva sdegnata che nel XV canto dell’”Inferno” Brunetto Latini, antico maestro di Dante, lancia contro i fiorentini “orbi”, per esaltare l’illustre discepolo che si tiene lontano dai costumi corrotti dei suoi concittadini, Carlo Levi, nelle pagine del romanzo autobiografico “L’Orologio”, che raccontano la conferenza stampa convocata da Ferruccio Parri il 24 novembre 1945 al palazzo del Viminale, dopo le dimissioni del suo governo imposte dal Partito Liberale, con il tacito assenso della Democrazia Cristiana, mette in bocca al personaggio Casorin (dietro cui si nasconde lo scrittore Manlio Cancogni) questo giudizio sul presidente dimissionario:“E’ un padre.Un crisantemo. Un crisantemo sopra un letamaio”. Sulla scorta di questa immagine, che esprime la delusione per l’esito fallimentare della Resistenza, l’io-narrante delinea un ritratto della personalità del Presidente del Consiglio teso a conservare la memoria di un uomo esemplare che aveva portato al potere la sua esperienza dolorosa nella guerra di Liberazione, i valori professati dai resistenti e il sacrificio dei caduti. Incontrando il “doverismo” di chi si definiva un “partigiano qualunque” e concepiva la politica come moralità, esperienza altamente formativa ed educativa imprescindibile per il rinnovamento della nazione, Levi esalta l’umiltà di Parri e assimila la sua persona a quella di un mistico della democrazia avanzata, un asceta fuori posto accanto ai visi teologali e cardinalizi di De Gasperi e Togliatti: “Lo guardavo, diritto in mezzo ai due compagni di destra e di sinistra, dai visi fin troppo umani, accorti, abili, attenti, astuti, avidi di cose presenti, e mi pareva che egli fosse invece impastato della materia impalpabile del ricordo, costruito col pallido colore dei morti, con la spettrale sostanza dei morti, dei fucilati, degli impiccati, dei torturati, con le lacrime e i freddi sudori dei feriti, dei rantolanti, degli angosciati, dei malati, degli orfani, nelle città e sulle montagne[…] Se l’identificarsi con i dolori del mondo, il soffrirli in se stesso, l’assumerli come propri, è santità, egli era fatto della incorporea materia dei santi”. Trasfigurato dalla scrittura di Levi, il “crisantemo” Parri spicca nel degrado etico-politico e civile della Roma del 1945, con i suoi ministeri “dove si adorano e perfezionano i vizi più abietti, i tre più desolati peccati mortali: la pigrizia, l’avarizia e l’invidia”.
E’ un italiano diverso rispetto alla classe dirigente prodotta dalla storia unitaria del Paese: “Dicevano che non fosse un uomo politico, che non rappresentasse nessuna forza reale, che non sapesse destreggiarsi nel giuoco avviluppato degli interessi. Ma egli rappresentava qualche cosa che non è negli schemi politici. Non aveva né timbro né tono[la sua voce]: risuonava sempre uguale, opaca, senza inflessioni. Quella voce diceva cose apparentemente piane, semplici, elementari, amministrative, senza accompagnarle con gesti. Era il linguaggio dei morti che dicono la verità che nessuno intende”. Perciò destinato al ruolo di vittima sacrificale del malcontento qualunquista del Meridione, che non aveva conosciuto l’esperienza dei rastrellamenti e le stragi della Repubblica sociale (usata dai tedeschi come strumento di repressione antipartigiana), e degli esponenti dei partiti rinati dopo la sconfitta del fascismo, attenti a interpretare le esigenze di strati profondi della collettività, ma non altrettanto sensibili a scrollarsi di dosso certe inclinazioni totalitarie, ancorati a vecchie contese, ad antichi pregiudizi, a politiche compromissorie e trasformistiche: “Dei vecchi, strani animali preistorici, stavano sdraiati con sussiego sui loro scranni, avvolti in un’atmosfera di rispetto coagulato. Avevano saputo durare, indifferenti come pietre, agli avvenimenti”. A essere accantonato dalla semplificazione degli schieramenti politici e a uscire di scena con la nobile dignità del giusto che si era battuto per il bene della nazione e contro un’idea della politica intesa come mediazione degli interessi dei ceti sociali privilegiati: “Intanto, nella generale confusione, il Presidente, seguito dai suoi giovani segretari occhialuti, se ne era uscito per una porticina, senza far rumore: e nessuno si era accorto della sua scomparsa.”
Lorenzo Catania

2 commenti:

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  2. Si tratta di una bella rievocazione di un uomo che per il nostro Paese si è prodigato (il termine non sembri retorico) senza risparmio, ricavando in cambio... ben poco.
    Questa si è rivelata spesso una costante nella vita politica e culturale del nostro Paese: il cinismo, che come osservava un altro grande italiano ed antifascista come Gramsci cerca di passare per "modernità", per saper stare al mondo e così via, infesta l'amministrazione, la gestione della cosa pubblica e vizia in partenza la maggior parte dei progetti di reale cambiamento.
    Eppure, benchè politica e morale abbiano ambiti e mirino a scopi tra loro non identici, non si pongono neanche in un rapporto di contrapposizione o per così dire, di inimicizia.
    In Parri si notava anzi come politica e morale potessero/dovessero incontrarsi.
    Perchè obiettivo della politica è la promozione del bene comune e l'assoluto porre in secondo piano il conseguimento di vantaggi personali, sia pure malamente camuffati da finalità ideali.
    Senza una sorta di "religione laica" della politica avremo sempre l'abbassamento appunto della politica a cricca, malaffare e nella "migliore" delle ipotesi, inefficienza.
    Ciao.

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