Benvenuti. Non esistono quasi limiti di tempo e di spazio nella dimensione dei proverbi, tanto vasta ne è la diffusione nel tempo e nello spazio. Da tempo immemorabile l'uomo fa uso di proverbi, sia nella tradizione orale come in quella scritta. Spesso è assai difficile risalire all'origine di un proverbio e stabilire se esso è transitato dalla tradizione orale alla letteratura o viceversa, se è di origine colta o popolare. Anche la linea di demarcazione tra proverbi, detti, motti, sentenze, aforismi, è assai sottile e forse non è così importante come si crede definire l'origine di un proverbio o di un aforisma quanto piuttosto risalire alle motivazioni che ne hanno determinato sia la nascita che l'uso più o meno frequente.

Della mia passione e delle mie ricerche sull'argomento e non solo su questo, cercherò di scrivere e divagare ringraziando anticipatamente quanti vorranno interagire e offrire spunti per sviluppare il tema col proprio personale e gradito contributo.

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mercoledì 21 maggio 2008

Il proverbio detto per "non dire"

Non sempre un proverbio viene adoperato per convincere a seguire determinate regole, siano o non siano esse codificate, o per esortare ad accettare con rassegnazione l'avversa fortuna o gioire della propizia.
In uno dei suoi romanzi, lo scrittore Giorgio Todde (1) ci presenta il capitano dei carabinieri Pescetto alle prese con due presunti testimoni da lui convocati. Costoro, anziché ricorrere alla collaudata strategia del silenzio, straparlano usando una valanga di proverbi, ad indicare che non avrebbero riferito nulla, anche se fossero stati a conoscenza di elementi utili alle indagini.
Lo sproloquio sostituisce il silenzio, il dire per non dire e per sottolineare che nulla si direbbe anche se si sapesse.

"Chi fa trenta non è detto che faccia trentuno"

"Non tutto può essere detto"

"Cosa di uno è cosa di nessuno, cosa di tre di tutto il mondo è"

"Ognuno rende conto della propria bisaccia"

"Chi non sa tacere non sa godere"

"Chi cerca le corna d'altri trova le proprie"

"La cosa cotta non ritorna cruda"

"Se ti feriscono le vacche, una ragione c'è"

"I balli di carnevale si piangono in quaresima"

"Chi male pensa peggio fa"

Il capitano Pescetto cade nel tranello tesogli e si lascia sfuggire anch'egli un proverbio:
"La giustizia acchiappa la lepre anche con il carro lento!"

I due interrogati continuano a sciorinare proverbi in risposta alle domande del capitano, incoraggiati dalla sua incauta compartecipazione.

"Rispettiamo i morti ma temiamo i vivi"

"Può accadere che anche l'erba fresca bruci"

"Chi non fa domande non sente bugie"



(1) Giorgio Todde, Lo stato delle anime, Nuoro, Il Maestrale, 2002
(Frassinelli, 2001)
capitolo 13 - pagg. 107-108-109

1 commento:

  1. I proverbi di Todde rientrano senz’altro nel quadro dell’omertà, a riprova di come appunto essa non sia confinata solo in ambito malavitoso campano, calabrese e siciliano ma compaia anche nell’omologo sardo.
    Più in generale, penso che il dire e non dire o anche il vero e proprio “sproloquio”, al fine di depistare l’interlocutore, possa avere una funzione positiva o negativa a seconda dei “rapporti di forza” esistenti tra depistante e depistando.
    Nel “Gattopardo” (parte 4/a) di Tomasi di Lampedusa il principe di Salina dice al piemontese Chevalley “noi Siciliani siamo avvezzi da una lunghissima egemonia di governanti (… ) a spaccare i capelli in quattro. Se non si faceva così non si sfuggiva agli esattori bizantini, agli emiri berberi, ai viceré spagnoli.”
    Qui Salina teorizza la necessità per i siciliani d’ogni epoca dell’espressione involuta, ermetica ecc. come arma a fini depistanti. E forse è possibile allargare il discorso a molte culture e classi subalterne.
    Abelardo, nella sua “Storia delle mie disgrazie” (III cap.) criticava il teologo Anselmo di Laon, che: “Aveva, è vero, una eccezionale facilità di parola, ma alla fine ci si accorgeva che diceva soltanto cose banali e senza senso. Era simile a un fuoco, che quando si accende invece di illuminare la stanza ti riempie la casa di fumo(…).” Quella dialettica si proponeva quindi di rendere le tenebre dell’ignoranza più fitte; ed era indirettamente rivolta contro chi subiva il potere. Possiamo accostare Anselmo al manzoniano Azzeccagarbugli.
    Comunque, nell’episodio del romanzo di Todde mi diverte moto il candore col quale i due anziani menano per il naso il capitano… tanto da trasmettergli il “morbo” dei proverbi.

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