Benvenuti. Non esistono quasi limiti di tempo e di spazio nella dimensione dei proverbi, tanto vasta ne è la diffusione nel tempo e nello spazio. Da tempo immemorabile l'uomo fa uso di proverbi, sia nella tradizione orale come in quella scritta. Spesso è assai difficile risalire all'origine di un proverbio e stabilire se esso è transitato dalla tradizione orale alla letteratura o viceversa, se è di origine colta o popolare. Anche la linea di demarcazione tra proverbi, detti, motti, sentenze, aforismi, è assai sottile e forse non è così importante come si crede definire l'origine di un proverbio o di un aforisma quanto piuttosto risalire alle motivazioni che ne hanno determinato sia la nascita che l'uso più o meno frequente.

Della mia passione e delle mie ricerche sull'argomento e non solo su questo, cercherò di scrivere e divagare ringraziando anticipatamente quanti vorranno interagire e offrire spunti per sviluppare il tema col proprio personale e gradito contributo.

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domenica 16 marzo 2008

L'uomo è cacciatore

Non tutti i proverbi reggono all'usura del tempo ed alle trasformazioni del costume, della visione e della concezione del mondo.
Se l'uomo non dominava realmente sulla donna nemmeno quando questo predominio era codificato da leggi e da pesanti condizionamenti a sfavore delle donne, figuriamoci dopo che si è ottenuta una quasi parità formale, in seguito alla quale la supremazia della donna sull'uomo è divenuta ormai incontrastata.
Destava meraviglia il fatto che le giustificazioni sulla eccessiva intraprendenza sentimentale-amatoria dei maschi veniva spesso dalle donne, che infierivano sulle donne che venivano sedotte piuttosto che sul seduttore, forse per mettere in risalto le proprie qualità morali, legate principalmente alla propria verginità o fedeltà coniugale.
Il proverbio in oggetto, ad esempio, viene pronunciato due volte in Mastro don Gesualdo, da una donna, la baronessa Rubiera, per giustificare il proprio figlio seduttore, riversando tutta la responsabilità su Bianca Trao.

"L'uomo è cacciatore, si sa! ..." Parte prima cap II

L'aggiunta di "si sa!" tende a codificare come assioma la colpa esclusiva della donna.

Procedimento analogo nei Malavoglia (cap X, 137, in cui il proverbio viene enunciato da una donna, donna Rosolina, a giustificare l'insistente corteggiamento di don Michele nei confronti della più piccola delle sorelle "Malavoglia".

Credereste che in pieno Ottocento, invece, c'era un giorno interamente "consacrato" alla caccia dell'uomo da parte della donna, e ciò non avveniva a Stoccolma, ma nella ben poco svedese Catania?
Ne riferisce Giovanni Verga nella novella "La coda del diavolo":
"A Catania la quaresima vien senza carnevale; ma in compenso c'è la festa di Sant'Agata, - gran veglione di cui tutta la città è il teatro - nel quale le signore, ed anche le pedine, hanno il diritto di mascherarsi, sotto il pretesto d'intrigare amici e conoscenti ... senza che il marito abbia diritto di metterci la punta del naso. Questo si chiama il diritto di 'ntuppatedda.



A spiegare l'origine storica di tale usanza un saggio della Prof.ssa Carmelina Naselli (1894-1971): "Le donne nella festa di Sant'Agata a Catania, ossia Delle 'ntuppateddi" (1952).
Approfondendo il saggio della Naselli, il Prof. Carmelo Ciccia nel saggio "Il mondo popolare di Giovanni Verga ci fornisce una descrizione abbastanza dettagliata di tale usanza:
" ... 'intuppateddi (specie di chiocciole che hanno l'uscita tappata da un velo), traducibile in italiano con imbacuccate. Usanza per la quale le donne catanesi in occasione della festa di Sant'Agata (5 febbraio) si mascheravano lasciando visibile solo un occhio e andavano per le strade con facoltà di accompagnarsi in incognito a qualsiasi uomo gradito"

L'uomo da cacciatore a preda, con una sorprendente inversione dei ruoli.

Successivamente l'usanza, abbandonata a Catania, proseguì nel comune di Paternò, in occasione del Carnevale.
Molte presunte donne, si dice, erano in realtà omosex, provocando, a volte, una vera e propria "inversione" definitiva del malcapitato maschio cacciatore-cacciato.

1 commento:

  1. Vero, spesso molte donne dimostrano grande intransigenza verso loro “colleghe” che siano “cadute.” Interpreterei il fatto seguendo due, opposte vie: per la 1/a, scherzosa, mi collego al De Andrè di “Boccadirosa” che dice: “Si sa che la gente dà buoni consigli/ se non può più dare il cattivo esempio.” Per la 2/a, più seria, mi rifaccio all’inglese “to fall in love”, innamorarsi che però letteralmente significa “cadere in amore.” Molte donne legate a severi codici etici intendono la dimensione amorosa come caduta e colpa; ma se amare significa cadere, quale caduta migliore appunto dell’amore?
    Il “diritto di ‘ntuppatedda” mi ha ricordato i Baccanali romani, che univano finalità mistico-religiose all’esercizio di una sessualità spesso sfrenata. Del resto, in Oriente ed in Grecia (Baccanale da Bacco e da Dioniso, suo stretto “parente”) esisteva anche una prostituzione sacra, comunque il sesso non escludeva finalità religiose. Poiché il Baccanale nacque probabilmente nella Magna Grecia, vedrei la ‘ntuppatedda come una sopravvivenza in quel di Catania (e circondario) magari inconsapevole di quegli antichi riti, che comportavano una forte sospensione sia delle leggi civili che di quelle religiose.
    Può confermare il legame festa di S. Agata-Grecia il fatto che la tradizione relativa a tale festa risalga a quando le reliquie della santa fecero ritorno a Catania dopo 86 anni d’esilio a Costantinopoli, dove furono trasportate dal generale (bizantino) Giorgio il Maniace. E’ quindi possibile che elementi pagani, greci, orientali e cristiani si siano compenetrati nel culto della santa, senza eliminare un originario strato… dionisiaco.

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