Benvenuti. Non esistono quasi limiti di tempo e di spazio nella dimensione dei proverbi, tanto vasta ne è la diffusione nel tempo e nello spazio. Da tempo immemorabile l'uomo fa uso di proverbi, sia nella tradizione orale come in quella scritta. Spesso è assai difficile risalire all'origine di un proverbio e stabilire se esso è transitato dalla tradizione orale alla letteratura o viceversa, se è di origine colta o popolare. Anche la linea di demarcazione tra proverbi, detti, motti, sentenze, aforismi, è assai sottile e forse non è così importante come si crede definire l'origine di un proverbio o di un aforisma quanto piuttosto risalire alle motivazioni che ne hanno determinato sia la nascita che l'uso più o meno frequente.

Della mia passione e delle mie ricerche sull'argomento e non solo su questo, cercherò di scrivere e divagare ringraziando anticipatamente quanti vorranno interagire e offrire spunti per sviluppare il tema col proprio personale e gradito contributo.

I commenti sono ovviamente graditi. Per leggerli cliccate sul titolo dell'articolo(post) di vostro interesse. Per scrivere(postare,pubblicare) un commento relativo all'articolo cliccate sulla voce commenti in calce al medesimo. Per un messaggio generico o un saluto al volo firmate il libro degli ospiti (guest book) dove sarete benvenuti. Buona lettura

sabato 29 dicembre 2012

E' tutto per il nostro bene: la politica "impopolare" e risanatrice del governo Monti

"E' tutto per il mio bene - come disse lo scolaro inglese mentre veniva fustigato"

Questo wellerismo esprime assai bene la condizione di noi "scolari" italiani sottoposti alle severe amorevoli cure somministrate dagli illuminati professori del governo tecnico. Tutte le misure amare a cui veniamo sottoposti sono per il nostro bene, non un salasso che ci dissangui ma che ci faccia recuperare la salute perduta.

Il male passeggero rappresentato dai tagli e dalle tasse è servito, a loro illuminato parere, ad evitare danni assai peggiori e irreversibili, ad evitare la bancarotta, a permettere di continuare a godere (sic) di stipend pubblicii e pensioni, seppure con un potere d'acquisto drasticamente ridimensionato.

Senza queste draconiane ma sagge misure il nostro Natale sarebbe stato ben più drammatico, accontentiamoci quindi di questa parentesi sobria, frugale, e diamo fiducia ai professori. Le sante fustigazioni alle quali ci sottopongono, che intendono protrarre fino al superamento della crisi, sono tutte per il nostro bene.

Ingrati, stolti, populisti ringraziate e non criticate. Solo le menti illuminate ed ispirate hanno compreso la necessità virtuosa di questa politica risanatrice. Ammirate la benedizione degli alti prelati di fronte a questi uomini e donne mandataci dalla Provvidenza.

Equità e crescita: se ci siete battete un colpo! Per adesso siamo solo in piena recessione e depressione.

lunedì 3 settembre 2012

Un wellerismo leggermente erotico

"Quando cominci ad avere orgasmi con i clienti, è ora di smettere - come disse una ex prostituta ad una neo prostituta"

dal film Homicide, USA 1991

nel film il wellerismo è leggermente diverso: "Quando cominci a venire con i clienti, è ora di smettere, come disse una prostituta"

Con quale scopo questo wellerismo viene inserito nella narrazione del film, in un dialogo fra due poliziotti molto amici, con quale significato metaforico? Uno dei due poliziotti è ebreo e rimane emotivamente coinvolto nel caso di un omicidio di una bottegaia ebrea. Pur non essendo ebreo praticante e pur non conoscendo l'ebraico, la sensibilità del buono e bravo investigatore, prende il sopravvento sulla assenza di emozioni che dovrebbe essere caratteristica di ogni lavoro delicato, dal medico al giudice, per non pregiudicare l'assoluta imparzialità di giudizio.

Il pur bravo investigatore si lascia coinvolgere nella lotta senza quartiere tra neo nazisti ed ebrei, stanchi di essere vessati e discriminati questi ultimi.

E' lecito abbracciare la causa degli oppressi che giustamente si ribellano e non vogliono più subire passivamente ogni tipo di sopruso e di discriminazione negativa?

Anche il bravo poliziotto viene discriminato dai colleghi in quanto ebreo; per la polizia, in tutti gli ordini e grado, il poliziotto ebreo viene equiparato ad una donna, figuriamoci se si ha la ventura di essere donna e agente di polizia. A lui toccano i rischi maggiori, agli altri le lodi e le promozioni, letteralmente scippate al più meritevole agente.

In linea generale è lecito lasciarsi coinvolgere emotivamente nel giudicare e nell'agire quando con uno dei due contendenti abbiamo affinità di razza, di religione, ideologica o di altra natura?

A mio parere quando appare chiaro e incontrovertibile che ci si trovi davanti ad un oppressore che prevarica su un innocente, non solo diventa lecito parteggiare per la vittima, ma ci mette davanti ad un dovere morale a cui non possiamo sfuggire, pena la totale identificazione con l'oppressore.

L'empatia che si stabilisce fra tutore della legge e vittima può essere paragonata al piacere che la prostituta prova con il cliente?

Può pregiudicare il sereno imparziale svolgimento di un lavoro?

sabato 1 ottobre 2011

Peccato e Peccatore

Un vecchio proverbio ammonisce: "Si dice il peccato, ma non si dice il peccatore"

Severamente vietato, quindi, fare nomi, cognomi, soprannomi, o riferimenti che possano inequivocabilmente permettere di identificare il peccatore che ha commesso un determinato peccato. Chiunque può averlo commesso, tutti peccatori quindi, e attraverso la globalizzazione della colpa si ottiene l'immunità dell'unico, o dei pochi o molti che siano, peccatore.

Il cardinale Bagnasco, però, pur non riferendosi esplicitamente ad una persona (tuttavia suggerendola) e pur ammonendo tutti, indistintamente, sui pericoli di una vita esclusivamente dedita ai piaceri carnali, fa rilevare come particolarmente risibili i comportamenti scorretti di chi "sceglie la MILITANZA POLITICA" e si rivolge particolarmete a "gli ATTORI della SCENA PUBBLICA", non solo quindi ai politici in senso stretto ma a tutti coloro che ricoprono cariche ed esercitano funzioni di rilevanza pubblica, come Industriali, Banchieri, Dirigenti a vario titolo, ecc. (io aggiungerei Ecclesiastici appartenenti ai vari livelli del Clero, Alto Medio Basso ).

Il non aver indicato esplicitamente i responsabili principali del malcostume ha dato adito ad alcuni politici, adusi a sottili (?) distinzioni crociane, che il messaggio del cardinale fosse rivolto a tutti.

Formigoni: "Bagnasco parla per tutti e non per una persona sola"

Sacconi: "un invito a tutti"

Ecco le conseguenze dell'indeterminatezza.

Da qui il post al limite del paradosso (che vedete in basso), che fa riferimento al verbo "fornicare", che nella predica di Bagnasco non compare, seppure siano presenti non pochi sinonimi, che denotano una cultura senza alcun dubbio "sessuofobica".

Mi piace ricordare come Sant'Agostino abbia adoperato, nelle "Confessioni", il termine "fornicare", in senso più ampio e, a mio parere più significativo: "Fornicavo lontano da te", con ciò intendendo esprimere di essersi allontanato dall'esempio di Cristo, di non aver dedicato tutte le proprie azioni e i propri pensieri, improntandoli a comportamenti di solidarietà ed amore per il prossimo ma a soddisfacimento dei propri desideri personali (non necessariamente includenti il sesso).

Quindi siamo tutti un po', nell'accezione agostiniana, "fornicatori",; ci dedichiamo agli affari, più o meno sporchi, personali, e ci allontaniamo dall'esempio di Cristo, ma ciò è tanto più grave quando i comportamenti hanno rilevanza politica, economica e sociale, tanto da aggravare una crisi politica ed economica, seppur proveniente in parte dall'esterno.

giovedì 29 settembre 2011

Ismi contemporanei: Statalismo

Ogni periodo storico ha i suoi "ismi"; Capuana aveva addiruttura scritto un saggio proprio su "Gli ismi contemporanei". Certamente gli ismi attuali non sono gli stessi dell'inizio Novecento, e sicuramente non hanno lo stesso indice di gradimento o di sgradimento.

Due ismi contemporanei, in particolare, sono fatti oggetto della riprovazione quasi generale, sia nei dibattiti in TV, comprese le TV locali, che nei Periodici stampati.

Mi vergogno a dirlo: i due ismi sono Statalismo e Comunismo, con prevalenza alternata dell'uno sull'altro, quando non vengono addirittura adoperati simultaneamente amplificandone la forza d'urto.

Al limite del grottesco è la reazione degli ex-comunisti quando si vedono puntare l'indice contro con l'accusa di Statalismo e/o di Comunismo (più o meno mascherato). Fassino, ad esempio, si adonta, s'infuria, e replica che il Centro-Sinistra ha fatto più privatizzazioni del Centro-Destra, che non ha portato, a suo dire, a compimento le privatizzazioni e le liberalizzazioni annunciate.

Il "liberalizzatore" Bersani rivendica continuamente con orgoglio di essere stato il liberalizzatore numero uno, e che se il Centro-Sinistra avesse vinto le elezoni lui avrebbe reso l'Italia interamente liberalizzata.

Che dire di Vendola che si cosparge il capo di cenere, ogniqualvolta gli si ricorda di essere stato comunista.

Non ci sono insulti peggiori di quelli sopra enunciati e reazioni altrettanto veementi e indignate di coloro ai quali questi "insulti" vengono rivolti, ad eccezione di pochissimi che non siedono più in Parlamento, come Paolo Ferrero, che considera insulto l'atteggiamento spocchioso e supponente di chi questi insulti rivolge, ma non l'essere Statalisti o Comunisti in se.

Io invece considero il termine Statalista un insulto, perché ritengo che lo statalismo, in un mondo globalizzato, sia del tutto inadeguato a contrastare efficacemente il dominio di un Capitalismo cinico ed estremamente aggressivo.

E' necessario, a mio parere, contrappore alla "Mafia globalizzata" nel Capitalismo Globalizzato un inter-statalismo che, come amava dire il grande Sandro Pertini con lo slogan "A brigante, brigante e mezzo", combatta unendo le forze dei partiti di sinistra di più paesi, come ad esempio si sta tentando di fare in America Latina.

Inoltre bisogna estendere, all'interno di ogni singolo paese, l'intervento del settore pubblico decentrato, dalle Regioni ai Comuni, alle Province (ammesso che non vengano cancellate). Occorre essere non solo inter-statalista, ma anche (non lo dico veltronianamente), Regionali_sti, Comuni-sti, Provinciali-sti.

Se si leggono attentamente gli scritti di Lenin ci si accorgerà che anch'egli era fautore di un Federalismo non statalista, cioè si rendeva conto che, pur nell'ambito del Comunismo, ogni Stato dell'URSS doveva avere la sua politica statalista, senza una eccessiva presenza dello stato accentratore. Per questo ebbe feroci polemiche con Stalin, che queste rivendicazioni decentrate intendeva assolutamente soffocare.

Bisognerebbe contrapporre ai vari "G", G7, G8, G20, un "C", che sta per Comunismo o un "S", che sta per Socialismo, o meglio un Fronte Popolare mondiale, che si chiami come si voglia, ma che si contrapponga in maniera efficace e netta alla deriva che il Capitalismo, in tutte le sue forme, sta conducendo il mondo e gli uomini di oggi, e se non si cambia radicalmente, anche di domani.

martedì 7 giugno 2011

Uguaglianza vs Libertà

Un certo Panebianco, in una puntata de "L'Infedele", sostiene che la tendenza verso l'uguaglianza tende inevitabilmente a deprimere gli spazi di libertà, chiamando a testimone di tale tesi il filosofo Norberto Bobio, senza spiegare dove e quando il filosofo avrebbe detto o scritto tale affermazione.

Né il conduttore nè gli ospiti in studio hanno confutato tale assunto, al quale Panebianco ha preteso attribuire valore assiomatico, come se si trattasse di un postulato dato per scontato e inconfutabile. Come dire: non esiste libertà al di fuori di un sistema economico-politico non fondato sulla disuguaglianza.

Seguendo, fino alle estreme conseguenze, la logica di tale asserzione, si dovrebbe concludere che il massimo della libertà si ottiene con il massimo della disuguaglianza e quindi, se desideriamo veramente di essere uomini liberi, dovremmo auspicare che gli squilibri sociali raggiungano il culmine.

La stessa ricerca di una uguaglianza tollerabile porterebbe inesorabilmente con se una restrizione degli spazi di libertà.

Le differenza socio-economiche non costituirebbero una ingiustizia sociale, ma un doveroso riconosciemento del merito, mancando il quale la società non progredirebbe, si avrebbe una stagnazione del progresso economico e sociale.

Il massimo raggiungimento di condizioni di libertà si sarebbe quindi verificato laddove le distanze socio-economiche, le diseguaglianze, avessero raggiunto il massimo livello: quindi nella Russia zarista, nella Francia assolutistica, nella Spagna franchista e nel Cile di Pinochet.

I golpe fascisti non avrebbero soffocato la libertà ma ne avrebbero determinato il massimo dispiegamento, liberando la la Spagna del Fronte Popolare e il Cile di Allende dalle pastoie, dalla palude, di un sistema politico che intendeva far marciare insieme progresso economico e sociale di pari passo con la giustizia sociale, con l'uguaglianza.

La ricerca della felicità e della giustizia, della fratellanza e del bene comune dovrebbe cedere il passo alla molto più pregnante ed entusiasmante ricerca della disuguaglianza, stimolo al fare e al progredire, deprimendo i quali non si avrebbe crescita ma stagnazione.
Peccato che le vicende degli ultimi dieci/vent'anni non hanno dimostrato affatto la bontà di tali stolide illusioni, precipitando il mondo nella più cupa desolazione a vantaggio di pochi speculatori che hanno visto aumentare a dismisura i loro profitti grondanti di lacrime, sudore, fango, e sangue.

Come non rimpiangere Paolo Spriano e Alberto Asor Rosa, il primo scomparso il secondo "ostracizzato", che non avrebbero tralasciato di replicare all'assunto spocchiosamente enunciato e del tutto storicamente, sociologicamente, umanamente, infondato.

sabato 30 aprile 2011

La caduta del Muro. Ovvero: non tutto il bene viene per giovare.

In linea di massima tutti i mali vengono per nuocere, o perlomeno, salvo qualche eccezione, riescono veramente a nuocere, anche se non ne hanno a volte l'intenzione.

La propensione al bene, invece, che è quasi sempre intenzionale, non sempre riesce ad ottenere i fini che si era prefissi, anzi non di rado ottiene risultati diametralmente opposti a quelli voluti.

La caduta del Muro di Berlino si inscrive nel progetto di Gorbaciov di liberare il Comunismo da tutte quelle catene, dalla Cortina di Ferro, da "quei tratti illiberali" per usare l'espressione di Enrico Berlinguer, che ne avevano "esaurito la spinta propulsiva impressa dalla Rivoluzione d'Ottobre".

Trasparenza e Ristrutturazione per coniugare la più ampia possibile uguaglianza sociale con la più ampia possibile libertà di espressione e di piena affermazione della dignità e personalità di ogni uomo, senza censure e ottusi dogmatismi; tutto però all'interno di una logica e di una struttura socialista, dove cioè le esigenze generali fossero preservate dalle prevaricazioni e dalle speculazioni di pochi individui senza coscienza civica e morale.

L'introduzione di elementi di libero scambio e di libera iniziativa non doveva condurre alla affermazione di un Capitalismo che questa libertà di scambio e di iniziativa soffocasse con i suoi pesanti, insopportabili, condizionamenti, attuati attraverso il controllo della produzione su larga scala e attraverso l'acquisizione dei mezzi di informazione, al servizio non certo del pluralismo ma creati a sostegno del proprio dominio.

In questo disegno di Gorbaciov s'inquadrano la riabilitazione della Primavera di Praga e dei suoi protagonisti, dei dissidenti, dell'abbattimento della "Cortina di Ferro" e sopra tutto della fine della politica di competizione col mondo occidentale per affermare una propria via per uno svilluppo equo, solidale e sostenibile.

Il fallimento del progetto di Gorbaciov fu dovuto alla scellerata azione congiunta degli stalinisti, degli integralisti liberisti interni ed esterni, dall'ipocrita unanime plauso in tutto il mondo che celava manovre occulte e palesi per rovesciarlo.

Sequestrato e costretto a dimettersi lascia il Paese a forze criminali che regalano il patrimonio pubblico alla mafia russa.

Il Comunismo di Gorbaciov cade non per le sue colpe ma per i suoi meriti, per volere mantenere democraticamente il potere e non adottare la repressione necessaria per respingere gli attacchi che venivano fatti al Comunismo ed alla Democrazia.

E' proprio vero: "Nessuna buona azione rimane impunita", e Gorbaciov è stato emarginato per aver voluto mantenersi entro i limiti della Legalità, mentre i suoi avversari interni ed esterni la violavano.

Il mondo Occidentale temeva un Comunismo dal volto umano, preferiva il comunismo stalinista, a cui contrapporre una presunta supremazia politica e morale del liberismo, oppure l'assenza di Comunismo dalla scena mondiale, ma non poteva tollerare un Comunismo che consentisse ai propri cittadini di vivere senza l'angoscia della disoccupazione e dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo.

Da un avvenimento storico fondamentale, progressista, come la caduta del Muro, del cui merito si tenta tutt'ora di defraudare Gorbaciov per attribuirlo ad un papa estimatore dei neo-calvinisti dell'Opus Dei ed ad un mediocre sindacalista polacco, è nata la diffusa convinzione che il Comunismo non può essere riformato, che solo al Capitalismo può essere concesso diritto di cittadinanza. Da un bene, come la "Caduta" deve essere considerata, è nato un male peggiore del male che si voleva abbattere.

La mafia globalizzata domina quasi incontrastata, gli unici baluardi rimangono Cuba e i paesi latino-americani che lentamente e faticosamente stanno imboccando la propria via verso il Socialismo.

Cerchiamo di evitare che ad essi accada ciò che al Comunismo di Gorbacioc è accaduto.

Bisturi e moschetto

Non ho mai avuto molta dimestichezza con i binomi, e non mi riferisco solo a quelli matematici, ma a quegli altri presentati i quasi come indissolubili: Dio e Patria, Teoria e Pratica, Libro e Moschetto, Casa e Chiesa, Amore e Odio, ma non pensavo di dover far riferimento ad un neo-binomio che trovo insopportabilmente stridente: il binomio cioè tra il camice del medico e la divisa del militare.

E' pur vero che al seguito di ogni esercito, che si rispetti o no, ci son quasi sempre ufficiali medici e cappellani militari, nei quali dovrebbero prevalere la cura del corpo e dell'anima, piuttosto che il loro annientamento.

E' tuttavia comprensibile che l'appartenenza ad una delle parti in conflitto non sempre induce i nostri ad essere al di sopra dei contendenti, a prodigarsi in egual misura sia per gli amici che per i nemici.

Assai diverso è il caso di un medico-militare che opera al seguito della Croce Rossa: dovrebbe veramente essere al di sopra delle parti, anzi dovrebbe accantonare la divisa e l'indole militare ed indossare il camice e l'abito mentale del medico, senza se e senza ma.

"Quando deve curare un talebano come si comporta?". chiede Bruno Vespa ad uno di questi militari-medici-crocerossini.

"Naturalmente compio prima il mio dovere di medico, curandolo, e subito dopo, il mio dovere di soldato, facendolo prigioniero"

E perché non adempiere simultaneamente i due doveri? in una mano il bisturi, nell'altra la pistola o il moschetto?

Questa puntata di "Porta a porta" vuole essere una critica, poi non tanto velata, nei confronti di quei medici volontari di Emergency e di Medici senza Frontiere ai quali non verrebbe mai in mente di curare i feriti e di consegnarli poi alle autorità militari. Tutti i feriti per un medico sono uguali, senza distinzioni di divisa, tutti hanno bisogno di aiuto, nessuno di essi è un nemico, ma un essere umano in gravi difficoltà.

Il crocerossino-militare-medico non la pensa affatto così, vive felicemente ed orgogliosamente questa dissociazione schizoidea tra medico e soldato, sotto lo sguardo compiaciuto e benedicente del Vespa.

Quanto distante è l'espressione da Caporale piuttosto che uomo, di individuo capace di compiere due doveri in una sola persona, da quella perennemente da uomo insoddisfatto di un Gino Strada, perennemente frustrato da un senso di impotenza, nel salvare una vita e vederne sprecate dieci, cento, a causa delle pretese civillizzatrici e dell'ancor più assurda e spocchiosa pretesa che il mondo Occidentale sia il migliore dei mondi possibili.

mercoledì 9 marzo 2011

Se permettete ... ragioniam d'Amore

Si può obiettare che per sua natura l'amore sfugge a ogni ragionamento, che nulla ha a che spartire con la ragione, tanto misteriosa ci appare la sua genesi, il suo progredire o regredire, la sua persistenza, la sua parziale o totale eclissi, il suo finire o il suo essere eterno.
Nondimeno qualcuno ci ha provato a ragionarci sopra, dagli stilnovisti, anche se il loro ragionar d'amore aveva un carattere spiccatamente esoterico e non privo di retorica, all'Aretino, i cui Ragionamenti attengono più al campo del sesso, de il cotale e la cotale , piuttosto che al sentimento. Altri si sono cimentati con l'amore anche da un punto di vista scientifico o para-scientifico, come Paolo Mantegazza e Federico De Roberto, tanto da parlare di Fisiologia dell'Amore e dal punto di vista sociologico come Alberoni. C'è stato persino qualcuno che ha parlato (o straparlato) di Chimica dell'Amore.

Ma non si dice che

"Al cuore non si comanda"?

che

"Amare e disamare non sta a chi lo vuol fare"?

Quindi inutili e velleitari sono i tentativi di ragionar d'Amore, sentimento irriducibile a ragionamento.

Orson Welles nei panni di Otello ammonisce:

"Amore non ha saggezza"

"Amore non ha misura"

Non è possibile disciplinarlo, imbrigliarlo nell'alveo di una esistenza libera dalle emozioni incontrollabili, e non di rado dannose, che esso suscita.

Ragionando, temerariamente, d'amore, con un amico poeta a tempo pieno e prosatore a tempo parziale,, mi lascio trasportare dalla mia non sopita sicilianità e gli enuncio un detto siciliano che io, a torto o a ragione, ritenevo (non so se ritengo ancora) la più elevata espressione del sentimento amoroso:

- Si'n Paradisu nun ci trovu a tia, mancu ci trasu" (Se in Paradiso non trovo te, nemmeno ci entro).


Mi illudevo di impressionare il mio interlocutore, ma questi, più prosaicamente che poeticamente, mi obietta che, dietro l'apparente enfasi amorosa, si cela, non poi così nascostamente, l'auspicio dell'amante che l'amato raggiunga prima di lui quello che il Verga chiama mondo della verità, cioè detto ancora più prosaicamente, che l'amato tiri le cuoia prima dell'amante.

Con altrettanta vis poetica, mi fa osservare, si può affermare lo stesso concetto senza specificare chi per primo deve raggiungere il traguardo:

"Meglio all'Inferno con te che in Paradiso senza di te".

Questo accade al modesto scrivente che si illude, anche se per pochi istant,i di assurgere all'Olimpo poetico, subito rbuttato cinicamente giù da chi, come il vero poeta, può a suo piacimento scendere e risalire le alte vette della Cultura e della Poesia. Poeti e Scrittori non ci si improvvisa.
Ha proprio ragione il detto:
"Chi nasce tondo non muore quadrato".

mercoledì 2 febbraio 2011

Candelora

Per la Santa Candelora
se nevica o se plora
dall'inverno siamo fora;
ma se è sole o solicello siamo
sempre a mezzo inverno (1).

- Candelora Candelora, de l'inverno semo fora; ma se piove o tira vento, ne l'inverno semo dentro (2).

La seconda enunciazione contraddice la prima e suffraga l'opinione che il carattere contraddittorio di proverbi e di modi di dire è la dimostrazione evidente della loro origine popolare; Vasco Pratolini, ne Le ragazze di Sanfrediano si spinge fino ad affermare che "la contraddittorietà dei proverbi è proprio il segno della verità che essi esprimono".

Prevale però l'opinione molto diffusa di trovarsi nel pieno dell'inverno e che l'estate sia ben lontana dell'arrivare:

Viene ben evidenziato da questo wellerismo a botta e risposta:

"Alla Candelora estate dentro e inverno fora; disse la vecchia di dentro il forno"
"Alla Candelora la vernata è fora; risponde l'orso dentro la tana"

Il caldo dell'estate "dentro il forno" e "dentro la tana", mentre fuori dominano incontrastati il freddo e il gelo.

"La festa della Candelora (in toscano ha anche Candelaia) è il secondo giorno di febbraio. Il nome deriva dal latino tardo festum candelarum e si riferisce alla benedizione delle candele che vengono portate accese in processione. Questi ceri benedetti sono poi conservati in casa dai fedeli e vengono accesi, per placare l'ira divina, durante i violenti temporali, aspettando una persona che non torna o si ritiene in grave pericolo, assistendo un moribondo, e in qualunque momento si senta il bisogno d'invocare l'aiuto del cielo: parti difficili, epidemie" (1)

Ci vuole ben altro che accendere una "Candelora" per liberare la nostra povera Patria da speculatori, corruttori e corrotti, scialacquatori del denaro pubblico, ma per pura scaramanzia accendiamola pure questa benedetta (almeno sia benedetta da un "prete da marciapede" e non da prelati graduati e contestualizzanti) Candelora per liberarci dal male di queste Istituzioni malate e servili.

(1) Carlo Lapucci - Anna Maria Antoni, I proverbi dei mesi, Vallardi, 1985
(2) Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana

lunedì 17 gennaio 2011

O mangi questa minestra o salti dalla finestra, ovvero: il significato di conservatore nel novissimo vocabolario liberista

Tra tutti i commenti a sostegno della linea Marchionne, da parte di giornalisti che si vantano di essere guidati dalla testa e non dalla pancia nel pensare e nello scrivere, uno in particolare mi ha colpito per l'audacia, per l'originalità, per la profonda capacità di vedere quello che i comuni ben-pensanti non riescono a vedere, cioè dell'aver compreso che il lavoratore che ha votato "no" è un conservatore.
Che cosa pretende di conservare costui che si oppone a massicci investimenti finalizzati al rilancio produttivo di un'azienda che in passato si è retta sul sostegno finanziario pubblico ed ora, finalmente, ha deciso di andare avanti soltanto con le sue forze, con l'intelligenza del suo manager e col duro lavoro dei dipendenti, in special modo di quello degli operai addetti alla catena di montaggio. Con quale senso di irresponsabilità questo operaio del "no" pretende di conservare tutte le pause a lui generosamente elargite, cosa sono dieci minuti di pause in meno, per giunta "profumatamente" retribuite con ben 35 euro mensili? Cosa gli costa andare in mensa a fine turno anziché a metà. Cosa sono queste microscopiche rinunce di fronte agli aumenti salariali che già si profilano luminosi all'orizzonte?

E poi perché si sostiene che viene intaccato il diritto allo sciopero, quando invece le limitazioni hanno solo lo scopo di vanificare ogni efficacia allo sciopero stesso senza però intaccarne il diritto?

A chi obietta che uno sciopero inefficace equivale a un non sciopero si ribadisce che non si può pretendere di avere "la botte piena e la moglie ubriaca"; bisogna accontentarsi di un diritto formale senza pretendere che diventi sostanziale.

A rigore non è la prima volta che il concetto liberista di conservatore viene applicato ai lavoratori dipendenti. Esso concetto è stato e viene tutt'ora applicato ai lavoratori che pretendono di avere la pensione con soli 35 anni di duro lavoro, addirittura vengono additati come nemici delle nuove generazioni in quanto ne pregiudicherebbero il presente ed il futuro. Secondo questa impostazione il mondo della finanza speculativa, delle esose banche, degli imprenditori nomadi non avrebbe alcuna responsabilità della crisi, ma essa sarebbe causa del conservatorismo della classe dei lavoratori dipendenti che pretenderebbero di "salvare capra e cavoli" di esigere di avere contemporaneamente diritti e lavoro, senza voler rinunciare alla loro vita privata sacrificandosi per il bene pubblico; non li sfiora minamamente che quello che essi definiscono bene pubblico non è invece sic et simpliciter il benessere smodato delle classi dominanti.

Riappropriamoci del vocabolario delle classi subalterne, diamo del conservatore e del reazionario a chi vuole conservare privilegi e negare legittime aspirazioni a chi sta perdendo anche i pochi diritti faticosamente e a duro prezzo conquistati.

giovedì 18 novembre 2010

Il fegato non è carne, ovvero: del negare l'evidenza

"Il fegato non è carne", 'come disse un prete sorpreso a mangiare fegato un venerdì santo'
Questo wellerismo viene pronunciato da un prete sorpreso da un parrocchiano a mangiare carne di venerdì, nel patetico tentativo di difendersi dall'accusa di "predicare bene e razzolare male" rivoltale esplicitamente dal suo parrocchiano. Pur di non ammettere la trasgressione il religioso (sic) tenta di difendersi negando che il fegato possa essere catalogato come appartenente alle carni.
Si può affermare che non di rado nelle relazioni interpersonali si fa ricorso a giustificazioni al limite dell'impossibile come ad esempio si ricava da una canzone spiritosa "non è un capello ma un crine di cavallo caduto sul gilè"; così tenta inutilmente di discolparsi un marito di fronte ad una moglie giustamente gelosa.
Nelle relazioni politiche e nelle relazioni tra gli stati il negare l'evidenza ricorrendo a penosi stratagemmi come quello del poco austero prete rappresenta più una regola che un'eccezione. "Il lavoro nero non è sfruttamento": una affermazione del genere sarebbe sta improponibile negli anni Settanta, oggi invece, di fronte alla crisi dell'occupazione, si tenta per far passare per fortunati coloro che hanno uno straccio di lavoro rispetto a chi ne è totalmente sprovvisto, affermando assiomaticamente che un pessimo lavoro, per giunta nero e precario, è meglio dell'assenza del lavoro, come dire che essere vivi, pur se malandati, è meglio che esere morti. I colonialisti hanno cercato di dimostrare che il Colonialismo ha comunque portato dei benefici ai paesi colonizzati per cui anch'essi sostengono che "il fegato non è carne", ovvero "il colonialismo non è sfruttamento e schiavitù", ma addirittura liberazione dalla miseria e dall'ignoranza.
Che dire della corruzione, che si tenta di far passare per liberali elargizioni, sostenendo anche qui metaforicamente ma poi non troppo, che "il fegato non è carne".
A queste assurde dis-omologazioni ricorrono assai spesso giornalisti del calibro di Belpietro, Feltri, e politici del calibro di Bondi, portavoce della mediocrità di quell'innominabile ex-radicale, del re dei giornalisti televisivi Bruno Vespa, i quali usano stemperare, attenuare, negare, attribuire ad altri, rimandare al mittente, colpe che invece sono attribuibili interamente o in gran parte alla cricca e al sovrano della cricca; per cui pagare dei giudici o dei testimoni per aggiustare processi per loro equivale a semplici pagamenti per legittime prestazioni professionali, anche per loro "il fegato non è carne", ovvero "pagare per difendersi dai processi non è corruzione".
Per onore di cronaca cito anche Emilio Fede, che non ho voluto coinvolgere perché "al cuore non si comanda", e quindi i numerosissimi ricorsi ad escamotage, tipo - il fegato non è carne - in lui non sono mai dettati da mala-fede, ma da pura e semplice incommensurabile Fede.

lunedì 18 ottobre 2010

Mezzo pieno o mezzo vuoto?

Mi riferisco all'uso della metafora per indicare la propensione all'ottimismo e la propensione al pessimismo. Nei dibattiti politici questa metafora viene usata moltissimo dal petulante Lupi, a testimonianza che l'azione del governo del fare ha realizzato brillantemente almeno metà degli obiettivi con cui si era presentata agli elettori e che coloro che mettevano in risalto gli obiettivi mancati non avevano l'onestà intellettuale di ammettere che almeno la metà degli obiettivi in questione era stata brillantemente raggiunta, nonostante i grossi ostacoli che si erano frapposti lungo il cammino. Gli avversari politici vedevano insomma solo la metà del bicchiere vuota ignorando la metà piena. Rimanendo in metafora ma guardando il bicchiere dal punto di vista dei cittadini e non dei politici, mi sento di osservare che non tutti i bicchieri sono uguali: sono diversi per dimensione, per qualità del vetro e, sopra tutto, per il liquido che vi viene versato e poi, prevedibilmente, bevuto. Il bicchiere del ricco o benestante può essere anche un bicchiere plurimo, ad esempio uno per l'acqua, uno per il vino, un altro per il liquore, tutti comunque di pregiata fattura; il bicchiere del povero, quasi sempre di qualità dozzinale, unico per tutto il pasto, del tutto mancante per le pause di meditazione. Sulla qualità del liquido si va dal Brunello di Montalcino al vino spunto, con quale ripartizione vi lascio immaginare. La quantità del vino può però trarre in inganno, il ricco o benestante non riempie mai il bicchiere fin quasi l'orlo, non è fine, il povero lo riempie fin quasi a traboccare e lo tracanna d'un fiato, consapevole che può essere il suo ultimo bicchiere. Il ricco ha una fornitissima cantina a disposizione, il povero a malapena uno sgabuzzino dove riporre i logori strumenti di lavoro. Il su citato Lupi indulge anche spesso a nominare il teatrino della politica, dove si cimenterebbero dei burattini sospesi a dei fili manovrati da un abile burattinaio, prezzolato da un ancor più abile padrone. Il pluri citato Lupi si considera un abile burattinaio, da cui avrei immenso orrore d'essere manovrato.

domenica 26 settembre 2010

Amico con tutti (o di tutti), fedele a nessuno.

Nel tentativo di conciliare la gestione dell'account in FB e del mio blog, mi sono a volte comportato come l'asino di Buridano (incerto nel mangiare da una ciotola o da un altra morì di fame), da quale mi differenzio solo(?) per la coltivata capacità di fare testa o croce e quindi, quando avrò delle incertezze su dove pubblicare i miei post, farò testa o croce e inizierò a mangiare da una ciotola a caso.
Dopo questo ozioso preambolo passo al sodo.
Il proverbio del titolo si adatta perfettamente al nostro connazionale vivente più amato e più odiato, più osannato e più deriso, senz'altro protagonista, nel bene e nel male, delle pagine dei giornali, delle radio e TV d'talia, d'Europa e forse del mondo.
Mi riferisco, mi vergogno a dirlo, a B., al re Silvio.
Amico di tutti quelli che tengono le redini della politica nel mondo, nemico giurato dei comunisti e di quanti non si genuflettono di fronte alla indiscussa e indiscutibile, totalizzante e totalitaria, supremazia del Mercato, spietatamente liberista.
Amico di Bush e di Obama, ma anche, veltronianamente, di Putin e di Gheddafi: dall'eterna riconoscenza agli USA per aver liberato l'Europa da nazismo, alla solidarietà a Putin per la spietata, criminale, lotta contro il popolo ceceno, qualificato da Putin e B. come terrorista, al "baciamo le mani" a Gheddafi, dopo aver riconosciuto i crimini del colonialismo fascista in Libia.
Amico di tutti equivale ad essere amico di nessuno, per cui riesce difficile anche ad un uomo di talento che sprizza genialità da tutti i pori e da tutti i denti (come B. viene pontificato dai suoi zelanti e servili sostenitori e come si auto-qualifica), riuscire a conciliare l'inconciliabile.
Come ha fatto notare l'amico Pietro Ancona in un suo recente post, le "simpatie" di B. per Putin e Gheddafi gli hanno alienato il sostegno USA, hanno fatto precipitare l'indice di gradimento USA nei suoi confronti e poiché "non si muove foglia che USA non voglia", il primato politico di B. si è incrinato a favore di Fini, verso il quale B. ha scatenato una campagna infamante su veri o presunti interessi privati in atti politici, come dire: "Il bue che dice cornuto all'asino".
B., amico di tutti nei confronti del popolo dei fessi che lo ha votato, popolo fedelmente ingannato con l'elargizione di piccoli illusori vantaggi e con notevoli espropri di risorse e di servizi essenziali, dal mondo del lavoro all'istruzione, alla mancata tutela del territorio, oggetto di vergognose speculazioni.

giovedì 29 luglio 2010

RES PUBLICA e Res privata

dal film Baarìa
L'oratore si pone una domanda retorica:
Per chi sta il re?
Il re sta per gli affari suoi.
Per chi sta il re pubblico?
Il re pubblico sta per gli affari di tutti.
"Gli affari di tutti" hanno vinto e
l'articolo 41 della Costituzione Italiana:
"L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale" deve "essere indirizzata e coordinata a fini sociali".
I revisori della Costituzione vogliono abolire la parte riguardante i fini e l'utilità sociale, vogliono fare gli affari del re (e dei suoi cortigiani) e non gli affari di tutti.

lunedì 19 luglio 2010

Mangano: eroe del nostro tempo

Eroe del nostro tempo è colui che sceglie coraggiosamente di mentire, condannandosi, che di dire la verità, salvandosi.
Scusatemi! Mi sono lasciato trascinare dal gusto del paradosso, che non mi consente di affermare categoricamente se Mangano sia stato un vero eroe del nostro o d'altri tempi, o d'entrambi.
Mi sento però di affermare in tutta coscienza e, con la pohissima ma genuina scienza che mi arrogo di possedere, che persone come Giovanni e Maria Falcone, Paolo e Salvatore Borsellino, Giuseppe e Claudio Fava, Peppino Impastato, don Pino Puglisi, Placido Rizzotto, Turiddu Carnivali, "picciottu socialista", Pio La Torre, Piersanti Mattarella, Rocco Chinnici, onorano quella meravigliosa Sicilia, che tanti altri, siciliani e no, hanno infangato e continuano ad infangare con le loro ignobili azioni e/o omissioni.
Procurare morte, diffamare, intimidire, ostacolare la crescita economica morale sociale e culturale non solo della Sicilia, non sono i soli gravissimi crimini commessi dalla Mafia, ma ad essi si aggiunge quello di avere stravolto il significato delle parole più nobili:
Onore, Dovere, Famiglia, Coraggio, Fedeltà e, last but not least, la parola "eroismo", assimilata, se non del tutto identificata, con la parola "omertà".

venerdì 11 giugno 2010

Geografia e Storia delle intercettazioni. Ovvero: "Dimmi con chi parli e ti dirò chi sei"

Non si vuole con questo breve post ripercorrere l'intera storia delle intercettazioni nello spazio e nel tempo, ma semplicemente tentare di dimostrare che la propensione a voler introdurre dei limiti alle intercettazioni telefoniche (e a quelle ambentali?) non indica in senso assoluto l'appartenenza allo schieramento dei conservatori o reazionari da una parte e dei progressisti dall'altra, senza prescindere dai luoghi e dai tempi nei quali questo strumento viene adoperato.
Certamente, non di rado, questo strumento è stato adoperato con la funzione di controllo politico: si pensi alla STASI nella RDT o in Italia nella situazione descritta da Leonardo Sciascia nel romanzo "Il contesto" (poi trasposto in film da Francesco Rosi con il titolo "Cadaveri eccellenti").
Non si può quindi prescindere da chi adopera questo efficace mezzo di controllo, che può essere utilizzato con profitto nella lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata come per il controllo e la repressione del dissenso politico.
In questo momento storico in Italia, a mio parere, la richiesta di limitazioni dell'uso delle intercettazioni e della successiva loro divulgazione si prefiggono lo scopo di ridurre ai minimi termini i rischi per corruttori e corrotti, ma hanno come pesantissima conseguenza l'indebolimento delle indagini per la lotta alla criminalità organizzata e i tentativi di individuazione di connivenze con il mondo politico, finanziario e industriale.
La lotta al dissenso politico viene e verrebbe comunque, legge o non legge, intrapresa utilizzando tutti gli strumenti possibili, vecchi e nuovi, dalla calunnia alla intimidazione, dai controlli legali (esistono e sono in maggioranza le toghe nere) e illegali, dalla violenza fisica e morale.
Tanto vale contrastare con forza questa legge salvacorrotti, che ha la dichiarata funzione di tutelare la riservatezza, ma ha lo scopo, poi non tanto occulto, di ostacolare l'individuazione di responsabili di reati che colpiscono in primo luogo le classi più deboli.

sabato 8 maggio 2010

Conigli ruggenti

Giacinto Menotti Serrati in un articolo del 1919 sull'Avanti:

"Mussolini è un coniglio, un coniglio fenomeno: rugge. La gente che lo vede ma non lo conosce, lo piglia per un leone" (1)

Serrati non immaginava che di lì a poco avrebbero ruggito tutti, persino i leoni:
"Roaring Twenties" - I ruggenti Anni Venti - con la poderosa crescita della produzione e dei consumi (perlomeno negli USA), che si arresterà nel 1929.

Oggi, 2010, ruggiscono solo i leoni, con una sola eccezione, messa in risalto dal quotidiano "Il Giornale".
Il coniglio a cui fa riferimento il quotidiano non rugge ma ruggisce.
Dissento totalmente da questa valutazione: sono convinto che l'attuale Presidente della Camera dei Deputati non sia un coniglio, ma un autentico leone, nato e vissuto in cattività e circondato da innumerevoli zelanti domatori che si prodigano ad ammansirlo, ma pur sempre un leone.
La difesa delle PREROGATIVE del parlamento, della rigorosa DIVISIONE dei POTERI, la rivendicazione delle funzioni di CONTRAPPESO esercitate dalla Corte Costituzionale, il tentativo di svuotamento di tutti gli Organi di Controllo sulla attività del Governo, la pretesa di mettere il bavaglio alla informazione critica, sono stati avvertimenti ed ammonimenti pienamenti legittimi e pienamente coerenti alla funzione esercitata.
I numerosi e proditori attacchi ai quali il leone è stato sottoposto ne hanno in buona parte ridimensionato la baldanza, e così, ai primitivi ruggiti si sono alternati alcuni timorosi belati, rischiando di trasformarlo in un leone belante.
Si è nuovamente fatto ricorso al ritornello della MAGISTRATURA POLITICIZZATA, e a "distinguo", non sempre sottili, per poter risalire sul carro dei vincitori.
Con un misero sette per cento (mi viene in mente l'holmesiana soluzione sette per cento), di consensi all'interno del PDL, con la totale avversione da parte della Lega, con la stampa padronale che non molla l'osso, non si può rischiare di rimanere emarginati.
Così il leone ha smesso di ruggire e temo che non tarderà molto ad accodarsi al branco.

(1) da Venerio Cattani, Rappresaglia, Venezia, Marsilio, 1997 - pag. 103

martedì 4 maggio 2010

Canto politico

Nel 1977 Bruno Lauzi compone la canzone "Io canterò politico", nella quale afferma che introdurrà temi politici nelle sue canzoni solo quando i suoi colleghi smetteranno di sfruttare l'attenzione dei consumatori di dischi verso i temi politici e sociali che spinge i cantautori a venire incontro ai gusti del pubblico solo per realizzare profitti. Così Lauzi si esprime: " ... i miei finti colleghi che fan rivoluzioni, seduti sopra pacchi di autentici milioni".
L'espressione "finti" credo stia a significare che questi opportunisti possono chiamarsi "colleghi" solo di nome ma non di fatto, in quanto Lauzi ritiene che non siano dei veri musicisti, ma solo dei profittatori di scarso talento musicale.
Forse Lauzi aveva il dente avvelenato dalla risposta in musica data da Sergio Endrigo alla sua pur bellissima canzone "La donna del Sud", musicalmente assai riuscita ma a cui Endrigo rimproverava una descrizione dell'immigrazione nel Nord alquanto di maniera. "Il treno che viene dal Sud", rispondeva, abbastanza esplicitamente a Lauzi affermando che "Il treno che viene dal sud non porta soltanto Marie con le labbra di corallo", ma "Dal treno che viene dal sud discendono uomini cupi che hanno in tasca la speranza ma che in cuore sentono che questa nuova, questa grande società, questa nuova, bella società non si farà".
Non che Lauzi avesse del tutto torto, poiché non sono mancati non solo nella canzone italiana, ma anche nella cultura e nell'informazione in generale, artisti e scrittori che hanno trattano temi politici e sociali non per convinzione ma per convenienza.
Del resto i cantanti i cui temi erano squisitamente individuali ed intimisti non hanno sempre raggiunto risultati artisticamente validi, anzi spesso, l'assenza di temi sociali non era sufficiente ad affermare la genuinità dei loro prodotti, non sempre rime ispirate, ma non di rado musica e rime melense, o, per dirla verghianamente "melanzose rime".
Il panorama della canzone politica non era comunque così insincero come Lauzi ha voluto farlo apparire:
Nel 1972 Baglioni compone "Caro padrone", a cui è stato dato presto l'ostracismo; nel 1974 De Gregori compone "Le storie di ieri", inserita nel 1975 nell'album "Rimmel", Claudio Lolli, "Quello lì (compagno Gramsci)".
E' pur vero che alcune canzoni incitavano all'odio di classe, come "Contessa" di Paolo Pietrangeli - " Mio caro padrone domani ti sparo" ... poi attenuato con " ... miglior vendetta sia proprio il perdono", ma nella produzione di canzoni di ispirazione politica e sociale se ne distinguono alcune di elevato valore musicale e poetico.
Un autore su tutti proprio Sergio Endrigo, che insieme al tema dell'amore, in tutte le sue varianti, canta la sua passione politica:
"Anch'io ti ricorderò" dedicata al "Che", "Perché non dormi fratello", "Il dolce paese", "Camminando e cantando la stessa canzone", "Lettera da Cuba".
Come non ricordare "Musica ribelle" di Eugenio Finardi, riproposta poi da un cantante "intimista" come Luca Carboni, che pur non rinnegando la sua ispirazione "individalista" riconosceva piena validità alle canzoni sociali incidendo l'album "Musiche ribelli", comprendente alcune canzoni di protesta e di lotta dei suoi colleghi "veri".
Il "dissidio" tra Lauzi ed Endrigo troverà una signorile composizione per merito di entrambi: Endrigo canterà, con eccellente risultato, "La donna del Sud", e Lauzi parteciperà alla serata dedicata ad Endrigo, l'anno dopo la sua morte, cantando "Via Broletto".
Altri tempi, altri uomini d'animo gentile.

domenica 4 aprile 2010

Vino e Verità

"Il motto degli antichi mai mentì",

ci ammonisce Giovanni Verga nei Malavoglia,

e veramente antico è il motto:

In vino veritas:

Alceo, poeta greco, esponente della lirica arcaica:
"Nel vino la verità"

Zenobio, Centuria IV, prov. 5:
"Nel vino la verità"

Dionegiano, Centuria IV, prov. 81:
"La verità è nel vino"

Plinio, Storia naturale:
"La verità è nel vino".

Questo proverbio appartiene alla nutrita schiera dei proverbi "ammonimento", cioè che mettono in guardia dalle cose da non fare o, più cinicamente, di quelli da cui trarre insegnamento per far dire o fare agli altri ciò che non vorrebbero dire o fare.
Il vino, quindi, come portentosa e infallibile "macchina della verità", mezzo di fronte al quale impallidiscono i sofisticati metodi adoperati dalle più spietate polizie segrete e no, dal KGB alla CIA, alla Gestapo.
Nella letteratura non mancano esempi del vino adoperato come catalizzatore di verità, per far dire ciò che da sobri non si sarebbe detto. Certo tale strumento di verità non è necessario nei confronti, ad esempio, di ingenui come il Renzo di manzoniana memoria, ma in questi casi agisce da acceleratore ed amplificatore.
Sarebbe quindi opportuno privarsi di questo prezioso nettare al fine di evitare di rivelare verità scomode che possono danneggiarci, ma sarebbe davvero un peccato.
Da uomo poco saggio, mi permetto allora di dare un saggio consiglio:

Bere moderatamente

in modo da evitare di

"dire la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità"

e, molto più saggiamente, attenersi a questo (non mio) suggerimento:

La menzogna mai, la verità non tutta.(1)

Per seguire questo principio bisogna mantenere pieno possesso delle proprie facoltà mentali, piena lucidità, raggiungilibe attraverso il non bere, o meglio, attraverso il bere poco e bene.

Ma sarebbe un adoperare il proverbio non per educare, ma per ingannare; sarebbe come dare ragione al Verga, che, implicitamente, definisce il mondo dei viventi come mondo della menzogna.(2)
A prescindere dalle conseguenze sforziamoci quindi di dire se non tutta la verità, traguardo per noi impossibile, almeno qualche verità integralmente, senza nulla nascondere, in modo che il transito nel mondo della verità, di verghiana memoria, avvenga nel modo meno traumatico possibile.
Per rimanere nel clima pasquale - Buona Pasqua parenti, amici, lettori vicini e lontani - è il caso di dire che "è veramente cosa buona e giusta" sforzarsi di dire, senza l'aiuto del vino o con una piccola (mi raccomando piccola) spinta di esso, sempre più spesso la verità, perché nel mondo della verità essa emerge perché non è concesso il nasconderla e quindi senza alcun merito umano, e che faremmo bene, noi provvisoriamente viventi, a considerare la verità una conquista, tanto più ambita quanto raggiunta con fatica e dolore.

CIN! CIN! ... senza esagerare

(1) Gino Benzoni, Gli affanni della cultura, Milano, Feltrinelli, 1978
(2) Verga definisce così morire: "passare nel mondo della verità"

domenica 7 marzo 2010

La politica e la morale

Volentieri pubblico un intervento del Prof. Lorenzo Catania

Quel crisantemo sopra un letamaio. Ferruccio Parri, la politica e la morale.
“Faccian le bestie fiesolane strame/ di lor medesme, e non tocchin la pianta, / s’alcuna surge ancora in lor letame…”.Riecheggiando un po’ questa invettiva sdegnata che nel XV canto dell’”Inferno” Brunetto Latini, antico maestro di Dante, lancia contro i fiorentini “orbi”, per esaltare l’illustre discepolo che si tiene lontano dai costumi corrotti dei suoi concittadini, Carlo Levi, nelle pagine del romanzo autobiografico “L’Orologio”, che raccontano la conferenza stampa convocata da Ferruccio Parri il 24 novembre 1945 al palazzo del Viminale, dopo le dimissioni del suo governo imposte dal Partito Liberale, con il tacito assenso della Democrazia Cristiana, mette in bocca al personaggio Casorin (dietro cui si nasconde lo scrittore Manlio Cancogni) questo giudizio sul presidente dimissionario:“E’ un padre.Un crisantemo. Un crisantemo sopra un letamaio”. Sulla scorta di questa immagine, che esprime la delusione per l’esito fallimentare della Resistenza, l’io-narrante delinea un ritratto della personalità del Presidente del Consiglio teso a conservare la memoria di un uomo esemplare che aveva portato al potere la sua esperienza dolorosa nella guerra di Liberazione, i valori professati dai resistenti e il sacrificio dei caduti. Incontrando il “doverismo” di chi si definiva un “partigiano qualunque” e concepiva la politica come moralità, esperienza altamente formativa ed educativa imprescindibile per il rinnovamento della nazione, Levi esalta l’umiltà di Parri e assimila la sua persona a quella di un mistico della democrazia avanzata, un asceta fuori posto accanto ai visi teologali e cardinalizi di De Gasperi e Togliatti: “Lo guardavo, diritto in mezzo ai due compagni di destra e di sinistra, dai visi fin troppo umani, accorti, abili, attenti, astuti, avidi di cose presenti, e mi pareva che egli fosse invece impastato della materia impalpabile del ricordo, costruito col pallido colore dei morti, con la spettrale sostanza dei morti, dei fucilati, degli impiccati, dei torturati, con le lacrime e i freddi sudori dei feriti, dei rantolanti, degli angosciati, dei malati, degli orfani, nelle città e sulle montagne[…] Se l’identificarsi con i dolori del mondo, il soffrirli in se stesso, l’assumerli come propri, è santità, egli era fatto della incorporea materia dei santi”. Trasfigurato dalla scrittura di Levi, il “crisantemo” Parri spicca nel degrado etico-politico e civile della Roma del 1945, con i suoi ministeri “dove si adorano e perfezionano i vizi più abietti, i tre più desolati peccati mortali: la pigrizia, l’avarizia e l’invidia”.
E’ un italiano diverso rispetto alla classe dirigente prodotta dalla storia unitaria del Paese: “Dicevano che non fosse un uomo politico, che non rappresentasse nessuna forza reale, che non sapesse destreggiarsi nel giuoco avviluppato degli interessi. Ma egli rappresentava qualche cosa che non è negli schemi politici. Non aveva né timbro né tono[la sua voce]: risuonava sempre uguale, opaca, senza inflessioni. Quella voce diceva cose apparentemente piane, semplici, elementari, amministrative, senza accompagnarle con gesti. Era il linguaggio dei morti che dicono la verità che nessuno intende”. Perciò destinato al ruolo di vittima sacrificale del malcontento qualunquista del Meridione, che non aveva conosciuto l’esperienza dei rastrellamenti e le stragi della Repubblica sociale (usata dai tedeschi come strumento di repressione antipartigiana), e degli esponenti dei partiti rinati dopo la sconfitta del fascismo, attenti a interpretare le esigenze di strati profondi della collettività, ma non altrettanto sensibili a scrollarsi di dosso certe inclinazioni totalitarie, ancorati a vecchie contese, ad antichi pregiudizi, a politiche compromissorie e trasformistiche: “Dei vecchi, strani animali preistorici, stavano sdraiati con sussiego sui loro scranni, avvolti in un’atmosfera di rispetto coagulato. Avevano saputo durare, indifferenti come pietre, agli avvenimenti”. A essere accantonato dalla semplificazione degli schieramenti politici e a uscire di scena con la nobile dignità del giusto che si era battuto per il bene della nazione e contro un’idea della politica intesa come mediazione degli interessi dei ceti sociali privilegiati: “Intanto, nella generale confusione, il Presidente, seguito dai suoi giovani segretari occhialuti, se ne era uscito per una porticina, senza far rumore: e nessuno si era accorto della sua scomparsa.”
Lorenzo Catania

Brani Musicali